martedì 22 settembre 2015

OSTIA, LA MAFIA E IL FINTO CARAVAGGIO

Se anche fosse un vero Caravaggio, il San Battista che verrà portato ad Ostia il 29 settembre non sarebbe di certo "uno dei migliori capolavori" di Michelangelo Merisi, come sostiene il comunicato stampa del Comune di Roma. La rumorosa attenzione che un agitato assessore alla legalità, Alfonso Sabella, ha voluto imporre ai cittadini romani del litorale intorno a questo dipinto non serve neppure a "combattere la mafia", come invece dallo stesso Sabella sostenuto. Ostia, già memore di simili inutili iniziative (come fu la pedonalizzazione del lungomare voluta da Tassone, poi arrestato proprio per le indagini di mafia capitale) merita fatti concreti e non buffonate dell'ultima ora. Mistificare per 'operazione culturale' l'esposizione del quadro presso il Teatro del Lido 'per combattere la mafia' è sintomo di confusione amministrativa, di cui Sabella ha già dato ampie dimostrazioni nel suo breve (per fortuna) periodo a capo del Municipio X.
Se aggiungiamo poi tutte le incertezze esistenti intorno all'autore e al contenuto di questo dipinto, il 'quadro' (nel senso metaforico del termine) è completo.

E' stata soprattutto Valenska von Rosen (2007) a soffermarsi sulle ambiguità nell'iconografia del San Giovanni Battista della Pinacoteca Capitolina. "Il problema che questo dipinto della Pinacoteca Capitolina ha presentato e tuttora presenta per gli studiosi di Caravaggio può essere così sintetizzato: perché mai questa figura dovrebbe farci pensare a un san Giovannino, o per essere più precisi, cosa fa di un giovinetto nudo, che senza una plausibile ragione si è tolto di dosso gli abiti e abbraccia un montone, un Giovanni Battista?". La scarsa attinenza dell’immagine rispetto a quella di San Giovanni Battista è stata notata anche "per un’atmosfera di ambiguità e di forte coinvolgimento che il dipinto esercita sullo spettatore” (Varoli Piazza, 1990).

Il dipinto è pervenuto nel 1750 alla Pinacoteca Capitolina (creata tra il 1748 e il 1750) proprio quando il primo nucleo della collezione venne costituita con l’acquisizione delle collezioni di immagini dei marchesi Sacchetti e Pio di Savoia, sotto il pontificato di Benedetto XIV. In particolare il dipinto capitolino, proveniente dalla collezione Pio (già Mattei prima e Del Monte poi) viene descritto in antico come San Giovanni Battista (inventari e testamenti di Giovan Battista Mattei e del Cardinale Del Monte, 1616-1623-1627), come Pastor friso (Gaspare Celio, ca. 1620) e nuovamente come pastore – Coridone, dall’Idillio IV di Teocrito – nella vendita Del Monte del 5 maggio 1628. Successivamente la prevalente lettura di San Giovanni Battista si alternerà a quella di Giovane nudo. Ricordiamo che Caravaggio dipinse il San Giovanni Battista nel 1602 probabilmente per Ciriaco Mattei, una delle figure più in vista della società romana del tempo; il soggetto del dipinto è un chiaro riferimento al nome del figlio di Ciriaco, Giovanni Battista. Destinato dunque agli ambienti privati del palazzo Mattei e non ad un luogo di culto, non ebbe mai una precisa rappresentazione universalmente riconosciuta..

Se non è chiara la rappresentazione lo è ancor di meno l'identificazione, perché di San Giovanni Battista attribuiti a Caravaggio non c'è solo quello della Pinacoteca Capitolina.
In antico l'opera capitolina è stata generalmente riferita a Caravaggio, fino alla guida de La Galleria del Campidoglio di Adolfo Venturi del 1890 che escluse il dipinto capitolino dagli originali della collezione e agli Studi su Michelangelo da Caravaggio di Lionello Venturi del 1910. Il quadro capitolino cadde dunque in disgrazia. E' stato uno storico d'arte, Sir Denis Mahon, che ha rivalutato il quadro. Quando il quadro era ancora ritenuto una semplice copia, passò dall'ufficio di Antonio Munoz, ispettore generale delle belle arti del Comune di Roma, a quello del sindaco Rebecchini, tanto che nel 1953 era appeso dietro la sua scrivania. Mahon lo vide: "incuriosito, si fece portare una scala e lo esaminò da vicino. Alla fine, disse: Ma questo è di Caravaggio!". Era il 1956. Il quadro fu dunque esposto nella Sala di Santa Petronilla dei Musei Capitolini entrando però in conflitto con un'analoga versione esposta presso la Galleria Doria Pamphilj. Fu solo nel 1990, il 27 febbraio, che le due opere furono messe a confronto impiegando "un nuovo sistema informatico" della Italsiel, chiamato 'Delineavit', ovviamente sponsor dell'iniziativa che si tenne dentro la Sala Petronilla. Neanche a dirlo "un semplice personal computer collegato con un disco ottico, un mouse e un monitor ad alta definizione" mediante il "sistema dell'ipertesto" diede ragione al dipinto capitolino, sugellando l'intuizione di 37 anni prima di Sir Denis Mahon. In pratica, fu riconosciuto nel dipinto capitolino l'originale da cui era stata tratta la copia della Galleria Doria Pamphilj, ribaltando quanto in precedenza affermato per oltre un secolo. Tale attribuzione è però di nuovo stata messa in discussione nell'ultimo decennio, includendo il dipinto capitolino tra la produzione di Caravaggio e della sua Scuola, i cosiddetti 'Caravaggisti', vale a dire nel campo complesso e quasi indistinto della replica-copia contemporanea.

Insomma, se non è chiaro riconoscere il San Giovanni Battista per una serie di convenzioni iconografiche mancanti (indice alzato, pelli di animale, verbasco, agnello, croce, cartiglio con la scritta “ecce agnus dei”, ciotola), e per il fatto che tale San Giovanni Battista "in tutta la produzione del Caravaggio è uno dei personaggi più sereni e sorridenti: anche questo aspetto, specie se confrontato con l’espressione corrucciata o malinconica dei diversi san Giovanni dipinti dal pittore, fa propendere per una diversa interpretazione del soggetto", non è neanche chiaro che l'autore sia il Caravaggio se non al Comune di Roma che ne è detentore e che lo porta ad Ostia come simbolo dell'antimafia rinascente.

In un'altra situazione sarebbe stata un'occasione interessante, di discussione accademica su come avvengono le identificazioni di antichi dipinti spesso a vantaggio degli interessi dei collezionisti e dei mercanti d'arte, nonchè delle amministrazioni comunali. Oggi, basandosi su un software, di cui non si ricordano successive fortune, organizzare un'operazione di marketing istituzionale senza alcun fondamento scientifico lascia l'amaro in bocca. Forse Ostia avrebbe meritato in questo suo momento difficile meno bugie: dire di combattere la mafia pedalando sul lungomare come fece Marino o esponendo un discutibile Caravaggio (spacciato invece come capolavoro) come oggi fa Sabella è quanto di più squallido si potesse immaginare per un nobile quartiere della Capitale d'Italia.